«Abbiamo da sempre sostenuto la necessità del green pass per tutti, mense aziendali comprese: certificato che vale sia per gli addetti della ristorazione collettiva, sia per gli utenti che sono anch’essi lavoratori nei luoghi presso cui fruiscono del servizio ( ospedali, scuole, caserme, aziende pubbliche e private etc..).Si tratta di una scelta di buon senso che chiarisce e aiuta le aziende del settore poiché consentirà di ripartire in sicurezza, senza discriminazioni e ambiguità su chi deve controllare le certificazioni».
Lo dichiara in una nota Massimiliano Fabbro, presidente di ANIR-Confindustria, l’associazione nazionale delle imprese di ristorazione collettiva.
Le imprese della ristorazione collettiva sono favorevoli al green pass per chi opera nelle scuole in veste di personale esterno, così come sono disposte ad assolvere l’obbligo vaccinale per i propri lavoratori qualora venisse introdotto. Ma ancora una volta, la gradualità della applicazione dell’obbligo, non può generare incertezze e disfunzioni, i gestori delle mense auspicano ulteriore chiarezza sull’onere del controllo dell’utenza (costituta da studenti o altri lavoratori), soprattutto nelle aziende. Noi possiamo rispondere per i nostri addetti e non sul personale dei nostri committenti, questo deve essere chiarito da subito. Bene anche il green pass per le pubblica amministrazione, ma serve regolamentare anche il settore privato: il rapporto tra chi eroga un servizio di ristorazione collettiva e la forza lavoro subordinata al committente va chiarito, per non trasformarci in controllori di tutti quei lavoratori che in Italia (tra fabbriche ed altri soggetti privati) usufruiscono di un servizio essenziale come la mensa».
Lo dichiara in una nota Massimiliano Fabbro, presidente di ANIR-Confindustria, l’associazione nazionale delle imprese di ristorazione collettiva.
«Finalmente vediamo che il problema di rendere i luoghi di lavoro sicuri si sta affrontando in maniera decisa: diciamo da settimane che la vicenda dell’obbligo del green pass solo nelle mense aziendali è un errore in termini, un falso problema. La questione sono i luoghi di lavoro: dopo ospedali, scuole, pubblica amministrazione, in tutti dovrebbe l’obbligo del green pass per accedervi e lavorarvi.Le mense aziendali sono una parte degli ambiti di lavoro, un servizio di pubblica utilità spesso complementare al servizio pubblico. Per noi è importante che ci sia sempre più chiarezza nelle modalità in cui possiamo svolgere il nostro servizio, lo abbiamo sempre fatto anche in pieno lockdown rispettando le regole che ci siamo dati tutti, aziende sindacati e PA. Siamo pronti a garantire che anche i nostri operatori abbiano il green pass nei servizi di ristorazione collettiva dedicati alla PA, chiediamo solo regole certe e che le nostre aziende non devono essere nuovamente disorientate, sarebbe dannoso per un settore già fortemente colpito dalla pandemia e che ci allontanerebbe da quel ritorno alla normalità tanto auspicato». Lo dichiara in una nota ANIR-Confindustria, l’associazione nazionale delle imprese di ristorazione collettiva.
Il controllo e la verifica delle certificazioni Green Pass, non spetta alle aziende della ristorazione collettiva, pur essendoci l’obbligo di verifica nelle mense. Molto chiara la posizione presa da ANIR Confindustria sulla vicenda del Green Pass e mense aziendali, anche alla luce della circolare del ministero dell’Interno del 10/08/21 che precisa quanto indicato dal dpcm 17 giugno 2021 lettera c) art.13, riferendol’obbligo del controllo green pass “anche ai servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, per il consumo al tavolo al chiuso”, verifica a cui sono deputati“i soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali è prescritto il possesso di certificazione verde COVID-19, nonché i loro delegati.
«Il nuovo DL conferma l’obbligo del Green Pass nella ristorazione, una misura che giustamente consentirà di lavorare in sicurezza e di garantirla a tutti coloro che usufruiranno di questo servizio. Tuttavia è bene evidenziare che per il settore della ristorazione collettiva si sta aprendo un dibattito che rischia di disorientare le numerose aziende del settore e i gestori dei servizi presso i quali mense e catering vengono erogati. Il punto da chiarire è su chi deve controllare gli utenti a cui il servizio viene erogato. ANIR Confindustria precisa che le aziende operanti nella ristorazione collettiva svolgono la propria attività e impiegano i loro dipendenti presso strutture terze, pubbliche o private, non sono titolari degli immobili o dei dipendenti delle attività a cui danno il servizio, pertanto è proprio alle imprese o gli enti appaltanti che spetta il controllo di chi ha accesso agli spazi munito di Green Pass. Quegli stessi soggetti sono tenuti già a compiere quelle mansioni organizzative e logistiche nella predisposizione degli spazi, secondo quanto prescritto dalle misure anti Covid vigenti come il distanziamento e l’uso di dispositivi di protezione individuale».
Lo dichiara in una nota ANIR-Confindustria, l’associazione nazionale delle imprese di ristorazione collettiva.
«In un momento di forte difficoltà per il settore della ristorazione collettiva, vediamo accolta la nostra richiesta dell’eliminazione del massimo ribasso. Bene la scelta dello stralcio per le gare per gli appalti dei servizi, e quindi anche per quelli del nostro comparto che ha un mercato pubblico pari al 70%. Per noi, che abbiamo quasi tutto il costo del lavoro per impiegati e lavoratori (sino al 80%), significa poter garantire sempre di più qualità e sicurezza nei pasti che forniamo ad intere comunità di lavoratori e studenti. Bene anche le norme che introducono criteri di premialità nelle gare per chi promuove l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani, con meno di 36 anni e donne. Abbiamo davanti sfide importanti per far risollevare un settore strategico per il paese che è stato duramente colpito: le aziende devono avere strumenti e possibilità di scelta ora. Tra qualche mese sarebbe definitivamente tardi poter disporre di risorse umane ed economiche per riconversioni o riallocazioni, ed anziché di lavoro, ci ritroveremo a parlare, purtroppo, di esuberi»
Lo dichiara il presidente di ANIR Confindustria (Associazione nazionale imprese di ristorazione collettiva) Massimiliano Fabbro.
«Ridurre, se non azzerare, gli oneri sul Lavoro, è una via concreta per agevolare la ripartenza dell’economia. In questi giorni arrivano dal ministro Orlando segnali positivi in tal senso, ed auspichiamo una iniziativa che possa agevolare i settori più colpiti dalla pandemia, come la ristorazione collettiva».
Lo dichiara Massimiliano Fabbro, presidente di ANIR-Confindustria (Associazione nazionale imprese ristorazione collettiva).
«Lo ripetiamo da mesi ed in questi giorni, anche in sede di confronto istituzionale e sindacale: per noi la de contribuzione del costo del lavoro è di primaria importanza per affrontare la fase di fine della cassa integrazione e il primo avvio degli eventuali inevitabili licenziamenti. Abbiamo chiesto più volte di adottare il criterio della riduzione del costo del lavoro come già individuato dal legislatore per le aziende del sud. Stessa cosa potrebbe avvenire per alcune categorie di lavoratori su cui sono in corso misure e disposizioni privilegiate faccio riferimento alla parità di genere e il nostro è un settore quello della ristorazione collettiva a prevalenza di impiego femminile più dell’80%».
La delegazione di ANIR Confindustria (Associazione nazionale imprese di ristorazione collettiva aderenti alla federazione Confindustria Servizi HCFS) ha incontrato il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta.
“Un momento di confronto importante per il nostro settore- ha detto il presidente di ANIR-Confindustria Massimiliano Fabbro – che ci ha consentito di rappresentare le nostre difficoltà e la volontà di riconfigurare il nostro ruolo all’interno del mercato pubblico, caratterizzato dalla rivoluzione dello smartworking. Ci sentiamo parte del servizio pubblico – prosegue – e non vorremmo che le nuove dinamiche cancellassero il valore sociale, economico e di presidio della salute della ristorazione collettiva negli uffici, le scuole, le caserme, gli ospedali. Abbiamo trovato grande disponibilità all’ascolto da parte del ministro Brunetta delle nostre istanze: riduzione del costo del lavoro, per agevolare la riallocazione dei numerosissimi lavoratori, oggi in Cassa integrazione e a rischio licenziamento; nuove misure sulla liquidità delle imprese come l’ampliamento e l’ estensione dell’utilizzo, in via straordinaria, dei sistemi finanziari garantiti (SACE), misure per il riconoscimento dei costi fissi incomprimibili che non hanno trovato corrispondenza nei bilanci delle aziende. Abbiamo inoltre ribadito la necessità di rinegoziare gli appalti in essere, e che questo debba accadere traducendo con una legge ad hoc le motivazioni già espresse dall’Anac. Vorremmo che la recente proposta di riforma pubblico impiego consideri il momento del pasto centrale e la ristorazione collettiva un servizio complementare nell’organizzazione del lavoro pubblico. Lo smartworking e il lavoro agile, modificheranno profondamente tempi, modi e costi del servizio. Chiediamo che gli organismi datoriali, come avviene per le rappresentanze sindacali, possano dare il proprio contributo a definire delle nuove linee guida per l’erogazione del servizio, nella fase di ripresa post covid. Con grande soddisfazione prendiamo atto, che viene ribadito il ruolo e il valore sociale della ristorazione collettiva e che essa vada garantita in modo sostanziale per tutti gli aventi diritto, seppure con soluzioni organizzative differenti per ciascuna condizione”.
ANIR Confindustria, associazione nazionale imprese della ristorazione collettiva aderente a Confindustria Servizi HCFS è stata audita dalle commissioni Bilancio e Finanza del Senato nell’ambito all’esame del disegno di legge n. 2144 (decreto sostegni).
Ha spiegato il presidente di ANIR Confindustria Massimiliano Fabbro: “Il settore della ristorazione collettiva che si occupa di mense in ambito pubblico (scuole, ospedali, forze dell’ordine, caserme, pubblica amministrazione in genere) e privato, ha subito un duro colpo a causa della pandemia e, in prospettiva, dovrà rivedere le proprie modalità operative per via dello smartworking che diminuirà la presenza di personale sui luoghi di lavoro in maniera strutturale. Si stima una perdita dei fatturati per il settore che ammonta a più di 2 miliardi di euro, in una crisi che non si risolverà con la fine del Covid e che interessa la sorte di 60.000 lavoratori. ll nostro paradosso – ha detto Fabbro – è che forniamo un servizio pubblico continuando ad operare pur essendo cambiate tutte le condizioni generali del nostro lavoro: tempi, quantità, modalità di erogazione dei servizi. Con il blocco dei licenziamenti e l’uso della cassa integrazione, abbiamo poche possibilità di riallocare personale e non abbiamo nessun aiuto per intervenire su eventuali riconversioni industriali. Nessuno dei dispositivi di sostegno e ristoro ci considera per ora siamo invisibili. Un caso nazionale unico come diciamo da mesi Chiediamo interventi strutturali – ha detto Fabbro – perché siamo un settore industriale. Il tetto dei 10 milioni di fatturato annuo per essere ristorati è largamente insufficiente e da subito chiediamo che la rinegoziazione dei contratti per l’erogazione dei servizi sia imposta ope legis a quelle committenze che sino ad ora non vogliono apportare cambiamenti, come già indicato dall’Anac a novembre 2020. Si tratterebbe di una disposizione importante, e a costo zero per lo Stato, poiché non richiede nessun impegno di spesa. Inoltre, vista la platea dei lavoratori coinvolti, riteniamo che per questo settore sia possibile estendere la misura prevista per la decontribuzione del costo del lavoro, già varata per il sud”.
“L’Autorità nazionale anticorruzione ha espresso un importante parere, con delibera 1022 del 25 novembre scorso, riconoscendo l’incidenza dell’ emergenza sanitaria sui contratti in essere relativi ai servizi di ristorazione collettiva. Vista la necessità di applicare le norme anticontagio, le imprese che si occupano di gestire le mense hanno dovuto adeguarsi ai protocolli di sicurezza anti-covid come pure fronteggiare richieste ulteriori da parte dei committenti. Questi aspetti, ha rilevano l’Anac, rappresentano il presupposto per riscontrare una variante in corso d’opera per ‘circostante impreviste ed imprevedibili’, così come stabilito dal codice degli appalti. Si tratta di un segnale importante per andare incontro alle imprese che hanno visto stravolgere le modalità di esecuzione e i costi degli appalti per servizi di ristorazione collettiva che hanno maggiormente risentito della crisi pandemica. Se pensiamo alle mense nelle scuole, negli uffici, negli ospedali o nei presidi militari, l’organizzazione è stata rivoluzionata per garantire servizi sicuri. Ma le imprese, per adeguarsi a questo, hanno affrontato situazioni non previste negli appalti stipulati in epoca pre-covid, lasciando inalterata la natura del contratto. Per ANIR CONFINDUSTRIA che ha chiesto fortemente un chiarimento dall’Anac, si tratta di una grande risultato, che ci aspettiamo sia accompagnata anche da altre misure di carattere governativo (in sede di bilancio o nella definizione di ulteriori ristori) per consentire alle imprese della ristorazione di superare la crisi e ridisegnare la propria identità in funzione delle mutate dinamiche lavorative nel nostro Paese. Il parere ANAC ci consente ora, all’interno della nostra rappresentanza, di avviare un dialogo con le amministrazioni centrali dello Stato per valutare le opportune varianti e rinegoziazioni, mentre con altri enti queste istanze erano già state positivamente valutate e messe in atto”.
Lo dichiara Massimiliano Fabbro, presidente di ANIR-Confindustria, l’associazione nazionale imprese dei servizi di ristorazione collettiva aderente alla federazione Confindustria Servizi HCFS.