Il Cibo Pubblico come leva di welfare: il diritto di mangiare bene, insieme

Ottobre 21, 2025

Il primo panel di IMMENSE 2025, moderato dalla giornalista Silvia Perdichizzi, ha aperto la giornata ponendo al centro il significato più profondo del cibo pubblico: un servizio che tiene insieme educazione, salute, inclusione e responsabilità.

A introdurre i lavori è stato Paolo Valente, Segretario generale di ANIR Confindustria, che ha sottolineato come «il cibo pubblico rappresenti l’oggetto e il valore di ciò che facciamo, mentre la ristorazione collettiva è il mezzo attraverso il quale lo realizziamo».
Un concetto che racchiude la missione dell’associazione: costruire valore intorno a un servizio essenziale, che ogni giorno garantisce milioni di pasti e con essi il funzionamento stesso del welfare del Paese.
Valente ha evidenziato la necessità di proseguire in un percorso di riconoscimento politico e culturale del cibo pubblico, in cui la qualità e la sostenibilità non siano più viste come costi, ma come parte del diritto dei cittadini a un’alimentazione giusta e accessibile.

Da questa visione comune si sono sviluppati i contributi dei relatori.
Claudia Pratelli, Assessora alla Scuola di Roma Capitale, ha portato l’esperienza della Capitale, dove ogni giorno vengono serviti oltre 150 mila pasti. «Garantire l’accesso a tutti e a tutte è il nostro primo obiettivo — ha detto —, attraverso rette progressive, educazione alimentare e un sistema organizzato che tuteli il lavoro e la qualità del servizio».

Andrea Magarini, Direttore della Food Policy del Comune di Milano, ha ricordato come le città possano essere laboratori di innovazione: «Le politiche alimentari urbane possono trasformare gli appalti pubblici in strumenti di sostenibilità, riduzione degli sprechi e promozione delle filiere locali. Le alleanze tra amministrazioni e imprese possono generare un impatto duraturo e diffuso».

Francesco D’Ausilio ha evidenziato la dimensione sanitaria e culturale del tema. «L’alimentazione è lo specchio della società — ha affermato — e il modo in cui i ragazzi mangiano, a scuola e fuori, è un tema di salute pubblica. Servono linee guida nutrizionali pubbliche e una visione unitaria che colleghi agricoltura, produzione e distribuzione alimentare».

Sul versante sociale, Antonella Inverno di Save the Children ha sottolineato l’urgenza di garantire risorse e strumenti ai Comuni per superare la natura “a domanda individuale” del servizio: «La mensa scolastica è un servizio essenziale, non un optional, e può contribuire a ridurre le disuguaglianze educative e a favorire l’occupazione femminile».

Adriana Bizzarri, coordinatrice di Cittadinanzattiva, ha ribadito l’importanza delle Commissioni mensa come luogo di partecipazione civica e controllo, invitando a estendere progressivamente il servizio nelle aree con maggiore povertà educativa: «Garantire un pasto sano al giorno è la prima forma di giustizia sociale».

Francesca Rocchi, rappresentante dell’Osservatorio nazionale sul cibo pubblico, ha ricordato i progressi compiuti dal settore, ma anche la necessità di rafforzare una visione comune a livello europeo. «L’Italia deve saper guardare alle migliori pratiche e adottare un modello unico di ristorazione pubblica sostenibile e inclusiva».

Infine, Michele Fontefrancesco, antropologo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha richiamato il valore comunitario del pasto: «Il pranzo in mensa è un momento che costruisce legami, diritti e appartenenza. Il cibo pubblico ci restituisce la dimensione collettiva del vivere».

Dalla somma di queste esperienze emerge un messaggio chiaro: la ristorazione collettiva non è un servizio tecnico, ma una infrastruttura di cittadinanza.
Come ha concluso Paolo Valente, «l’obiettivo di ANIR è fare del cibo pubblico un pilastro delle politiche sociali del Paese: un modello che unisce imprese, istituzioni e cittadini nella cura quotidiana del bene comune più semplice e più necessario — il pasto condiviso».

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