
Il Cibo Pubblico come leva di welfare: il diritto di mangiare bene, insieme
Il primo panel di IMMENSE 2025, moderato dalla giornalista Silvia Perdichizzi, ha aperto la giornata ponendo al centro il significato più profondo del cibo pubblico: un servizio che tiene insieme educazione, salute, inclusione e responsabilità.
A introdurre i lavori è stato Paolo Valente, Segretario generale di ANIR Confindustria, che ha sottolineato come «il cibo pubblico rappresenti l’oggetto e il valore di ciò che facciamo, mentre la ristorazione collettiva è il mezzo attraverso il quale lo realizziamo».
Un concetto che racchiude la missione dell’associazione: costruire valore intorno a un servizio essenziale, che ogni giorno garantisce milioni di pasti e con essi il funzionamento stesso del welfare del Paese.
Valente ha evidenziato la necessità di proseguire in un percorso di riconoscimento politico e culturale del cibo pubblico, in cui la qualità e la sostenibilità non siano più viste come costi, ma come parte del diritto dei cittadini a un’alimentazione giusta e accessibile.
Da questa visione comune si sono sviluppati i contributi dei relatori.
Claudia Pratelli, Assessora alla Scuola di Roma Capitale, ha portato l’esperienza della Capitale, dove ogni giorno vengono serviti oltre 150 mila pasti. «Garantire l’accesso a tutti e a tutte è il nostro primo obiettivo — ha detto —, attraverso rette progressive, educazione alimentare e un sistema organizzato che tuteli il lavoro e la qualità del servizio».
Andrea Magarini, Direttore della Food Policy del Comune di Milano, ha ricordato come le città possano essere laboratori di innovazione: «Le politiche alimentari urbane possono trasformare gli appalti pubblici in strumenti di sostenibilità, riduzione degli sprechi e promozione delle filiere locali. Le alleanze tra amministrazioni e imprese possono generare un impatto duraturo e diffuso».
Francesco D’Ausilio ha evidenziato la dimensione sanitaria e culturale del tema. «L’alimentazione è lo specchio della società — ha affermato — e il modo in cui i ragazzi mangiano, a scuola e fuori, è un tema di salute pubblica. Servono linee guida nutrizionali pubbliche e una visione unitaria che colleghi agricoltura, produzione e distribuzione alimentare».
Sul versante sociale, Antonella Inverno di Save the Children ha sottolineato l’urgenza di garantire risorse e strumenti ai Comuni per superare la natura “a domanda individuale” del servizio: «La mensa scolastica è un servizio essenziale, non un optional, e può contribuire a ridurre le disuguaglianze educative e a favorire l’occupazione femminile».
Adriana Bizzarri, coordinatrice di Cittadinanzattiva, ha ribadito l’importanza delle Commissioni mensa come luogo di partecipazione civica e controllo, invitando a estendere progressivamente il servizio nelle aree con maggiore povertà educativa: «Garantire un pasto sano al giorno è la prima forma di giustizia sociale».
Francesca Rocchi, rappresentante dell’Osservatorio nazionale sul cibo pubblico, ha ricordato i progressi compiuti dal settore, ma anche la necessità di rafforzare una visione comune a livello europeo. «L’Italia deve saper guardare alle migliori pratiche e adottare un modello unico di ristorazione pubblica sostenibile e inclusiva».
Infine, Michele Fontefrancesco, antropologo dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha richiamato il valore comunitario del pasto: «Il pranzo in mensa è un momento che costruisce legami, diritti e appartenenza. Il cibo pubblico ci restituisce la dimensione collettiva del vivere».
Dalla somma di queste esperienze emerge un messaggio chiaro: la ristorazione collettiva non è un servizio tecnico, ma una infrastruttura di cittadinanza.
Come ha concluso Paolo Valente, «l’obiettivo di ANIR è fare del cibo pubblico un pilastro delle politiche sociali del Paese: un modello che unisce imprese, istituzioni e cittadini nella cura quotidiana del bene comune più semplice e più necessario — il pasto condiviso».